L’osteoporosi, a 40 anni si è più a rischio, gli esami clinici per curarla

di Redazione Commenta

Novantamila casi ogni anno in Italia dopo i 60 anni. Le fratture da fragilità ossea nelle donne, causate principalmente dall’osteoporosi, colpiscono duro, con forti ripercussioni sulla qualità di vista fisica e psicologica della paziente e di coloro che le devono prestare un’assistenza, i cosiddetti “caregiver”, soprattutto figli e familiari (donne per 2/3 e lavoratrici nel 50 per cento dei casi) . Senza contare le conseguenze economiche, per lo Stato e per le famiglie. Una donna su due, al momento della frattura, non sa di avere l’osteoporosi perché non ha mai eseguito un controllo o una visita specialistica.

Ma anche tra le pazienti consapevoli di essere affette da osteoporosi, una su due non sapeva del maggior rischio di frattura e una su tre non assumeva alcuna cura. Per tutte, comunque, la frattura è stata un evento inatteso. In ospedale, inoltre, una donna su quattro non riceve informazioni dopo l’intervento e resta sola. Dunque aumenta la preoccupazione. Reale, perché per due soggetti su tre l’autonomia risulta sempre compromessa. E dopo tre mesi dalla dimissione i disagi fisici e cognitivi (soprattutto depressione) toccano il 40 per cento del totale, con un 7 per cento di decessi.

La mancanza di sintomi è il vero problema per la diagnosi di osteoporosi: la rende infatti tardiva, quando ormai le fratture si sono già verificate. Eppure individuare una frattura e la densità del nostro osso è semplice: la radiografia rileva la presenza di fratture vertebrali e femorali; la morfometria densitometrica vertebrale è una metodica innovativa caratterizzata da scarsa esposizione ai raggi x, precisa e consente una diagnosi precoce; la densitometria ossea (MOC), con sui si effettua la diagnosi di osteoporosi anche prima che la frattura si sia presentata e serve per valutare il rischio di frattura; la QUS che non consente i ottenere informazioni sullo stato dell’osso indirettamente correlate alla densità non a livello delle zone critiche per l’osteoporosi postmenopausale, ma solo a livello di siti scheletrici aspecifici come il calcagno, le falangi e la rottura.

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