La sclerosi multipla colpisce maggiormente le donne

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La sclerosi multipla ha colpito 2,3 milioni di persone in tutto il mondo, delle quali 600.000 soltanto in Europa. Lo rileva l’indagine Atlas, presentata in questi giorni presso il Congresso Ectrimis che si sta tenendo a Copenaghen. Durante il ventinovesimo European Committee for Research and Treatment in Multiple Sclerosis sono stati forniti anche i dati riguardanti i bambini. 

Già, perché, sono moltissimi coloro che si ammalano di sclerosi prima di compiere la maggiore età. Un altro dato rilevante concerne le donne, le quali hanno una probabilità superiore di ammalarsi in confronto agli uomini. Nel nostro Paese, che contempla sessantottomila pazienti, il rischio è altissimo. Quattro abitanti su 100.000 hanno la sclerosi. I nuovi casi ogni anno sono inoltre circa 2.000.

Dati imbarazzanti quelli emersi durante l’Ectrimis. Al giorno d’oggi, tuttavia il numero di terapie è avanzato e permette ai medici di selezionare quelle migliori per ogni caso.Il direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Policlinico di Bari, attale presidente del Concresso, Maria Trojano ha parlato di dati riguardanti il trattamento di pazienti a lungo termine. Dati che offrono una visuale ampia sulla malattia e sul conseguente livello di disabilità. La novità dell’anno è legata alla ricerca Advance sul peginterferone beta-1a, un farmaco sperimentale inerente al trattamento delle forme recidivanti-remittenti di sclerosi multipla.

Esso si configura come un nuovo composto molecolare in cui l’interferone beta-1a è stato peghilato: tale modifica consente di allungare l’emivita del farmaco che resta dunque per più tempo in attività all’interno dell’organismo. Questa peculiarità permette di diminuire il numero di iniezioni sottopelle necessarie e si pone dunque come un vantaggio per i pazienti.

Emerge inoltre la necessità di una terapia sempre più celere, paventata dallo studio Affirm sull’utilizzo del natalizumab nel trattamento della sclerosi multipla recidivante-remittente. Il natalizumab, stando ai dati, offre  risultati ancora migliori nei pazienti che avviano da subito le cure durante la malattia, quando è ancora possibile inibire i processi patologici irreversibili a carico delle strutture neuronali, e nei pazienti che proseguono il trattamento per un periodo prolungato oltre i primi 2 anni.

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